GIUSEPPE GAGGINI SCULTORE DEI RE

gaggini-scultore-tilacino

Giuseppe Gaggini: l’eleganza del marmo tra Neoclassicismo e Romanticismo

Giuseppe Gaggini (Genova, 1791 – 1867) è stato uno dei più importanti scultori italiani dell’Ottocento, protagonista di quel momento di transizione in cui il rigore del Neoclassicismo iniziava a dialogare con una sensibilità più sentimentale, intimista e narrativa tipica del Romanticismo. La sua produzione, vasta e distribuita tra Liguria, Piemonte e molte altre città italiane, rappresenta un punto di incontro fra equilibrio formale, poesia e virtuosismo tecnico.


Formazione e primi anni: Genova e Roma

Gaggini nasce a Genova in una famiglia modesta, ma mostra fin da giovanissimo un talento fuori dal comune. Si forma nella locale Accademia Ligustica di Belle Arti, dove studia disegno e modellato, e dove entra presto in contatto con il linguaggio severo e limpido della scultura neoclassica.

Determinante fu il suo trasferimento a Roma, centro vitale della scultura europea grazie alla presenza dei più grandi maestri dell’epoca e alla straordinaria eredità dell’arte antica. Nella capitale, Gaggini approfondisce lo studio dell’anatomia, della resa plastica e del rapporto tra scultura e sentimento, elementi che torneranno in tutta la sua produzione.


Torino e la maturità artistica

Terminato il periodo romano, Gaggini apre il proprio studio a Torino, città destinata a diventare il principale teatro della sua carriera. Qui ottenne prestigiose commissioni pubbliche e divenne professore all’Accademia Albertina, ruolo che gli permise di influenzare un’intera generazione di scultori.

A Torino Gaggini sviluppa uno stile personale: una scultura limpida, dolce, armonica, in cui il marmo sembra alleggerirsi, diventare velluto, farsi narrazione. I suoi soggetti preferiti oscillano tra mitologia, allegorie, monumenti celebrativi e arte funeraria.


Le opere più significative

1. Le Naiadi della Fontana di Piazza Cavour (Torino)

Tra le opere più celebri si trovano le figure allegoriche delle Naiadi, realizzate per la grande fontana in Piazza Cavour. Qui Gaggini fonde eleganza classica e movimento fluido, dando vita a figure dall’anatomia perfetta, ideali ma allo stesso tempo vitali.

2. Il Monumento a Vittorio Emanuele I

Commissionato dalla corte sabauda, questo monumento celebra il sovrano attraverso la purezza del marmo e la solennità delle forme. Gaggini dimostra grande capacità compositiva e padronanza delle architetture monumentali.

3. Sculture funerarie

L’arte funeraria fu uno dei campi in cui Gaggini eccelse maggiormente. Le sue opere nei cimiteri monumentali, come la Tomba Sclopis o la Tomba Colombini, mostrano un linguaggio che unisce la compostezza neoclassica a una profonda delicatezza emotiva. Drappeggi morbidi, volti assorti, simboli e gesti raccontano sentimenti e spiritualità senza mai scadere nel melodrammatico.

4. Opere religiose e mitologiche

Realizzò numerose statue di santi, angeli, virtù allegoriche e figure mitologiche. Un esempio significativo è la statua della Regina Maria Cristina di Savoia, apprezzata per l’intensità psicologica e la finezza dei dettagli.


Un’estetica tra ideale e sentimento

Il grande merito di Gaggini è la sua capacità di armonizzare due mondi:

  • il Neoclassicismo, con il suo culto per la perfezione, l’equilibrio, la misura;

  • il Romanticismo, che porta nella scultura un coinvolgimento emotivo più intimo, fatto di sguardi, gesti e narrazioni.

Gaggini riesce a creare un linguaggio elegante e riconoscibile: figure composte, serene, quasi sospese, ma allo stesso tempo capaci di comunicare emozioni sincere. Il suo marmo non è mai freddo: vibra, suggerisce, accarezza.


Eredità e riconoscimento

Alla sua morte, nel 1867, Gaggini era considerato uno degli scultori più influenti dell’area sabauda. Molte sue opere sono oggi disseminate tra musei, spazi pubblici e collezioni private.

Fu un artista rispettato, ma soprattutto un maestro: il suo insegnamento all’Accademia Albertina contribuì a formare la sensibilità scultorea piemontese per decenni.

Oggi la sua figura merita di essere riscoperta come uno dei protagonisti della scultura italiana ottocentesca, capace di unire tradizione e modernità in un equilibrio raffinato.

gaggini-cuba-tilacino

Nella zona genovese del Carmine, precisamente lungo quel tratto di strada che collega l’Albergo di Carbonara alla piazza della chiesa, venne alla luce Giuseppe Gaggini (Genova, 1791-1867). Seguendo l’impostazione indicatagli dal grande Canova, egli riuscì a imporsi in Italia e all’estero, tanto in ambito civile quanto religioso, dimostrando come la città che dominava i traffici commerciali e marittimi potesse vantarsi d’aver contribuito a rinnovare l’energia creativa dell’arte italiana.

Così lo ricordava Luigi Augusto Cervetto nel 1903. Tuttavia, lo stesso autore notava come «i suoi primi anni scorsero tra i tumulti della rivoluzione, il continuo passaggio di truppe, la presenza di forestieri e il susseguirsi di cambiamenti politici…», un avvio non semplice per lo scultore prediletto da Carlo Alberto di Savoia, che lo insignì del titolo di cavaliere dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro.

Tra le commissioni provenute da fuori Italia figurava anche quella per una fontana in marmo di Carrara destinata a L’Avana. L’incarico arrivò nel 1837 da Claudio José Bernabé Martínez de Pinillos y Ceballos (L’Avana, 1780 – Madrid, 1852), secondo conte di Villanueva, primo visconte di Valvanera, alto funzionario della Real Hacienda di Cuba, tesoriere generale dell’Esercito e del Real Erario, senatore e Grande di Spagna.

L’intento era realizzare un monumento dedicato alla mitica indigena «Habana», dalla quale la città avrebbe preso il nome: un personaggio adornato da un copricapo di piume e armato di faretra, circondato da delfini che spruzzavano acqua, mentre sorreggeva una cornucopia colma dei frutti e delle ricchezze generosamente offerte da quel lembo di paradiso soggetto alla corona di Castiglia e León.

Viene da chiedersi che cosa avrebbero pensato il conte di Villanueva e, soprattutto, il cavaliere Gaggini nell’assistere al caos che scosse L’Avana circa un secolo dopo, quando – proprio come nella sua giovinezza a Genova – tra le vie Monte e Dragones, lungo il Paseo del Prado o davanti al Capitolio, ai piedi della sua Fuente de la India, si ripresentarono «rivoluzioni, passaggi di uomini armati, presenze straniere, mutamenti politici…».