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Thylacinus cynocephalus

La tigre di Tasmania, nota anche come Tilacino, era un marsupiale endemico dell’isola di Tasmania, in Australia. Era un animale solitario e notturno, che si nutriva principalmente di marsupiali e uccelli. La tigre di Tasmania era caratterizzata da un pelo giallo chiaro e da una striscia nera lungo la schiena, da cui deriva il suo nome.

Benjamin: l'ultimo Tilacino

Il Tilacino si è estinto nel 1936 con la morte in cattività di Benjamin, ultimo esemplare ospite dello zoo di Hobart, in Tasmania. 

È stato l’ultimo esemplare conosciuto della sua specie. 

Venne catturato vivo nel 1933 e tenuto in cattività all’Hobart Zoo, dove morì tre anni dopo. La sua morte segna la fine della tigre della Tasmania come specie.. 

La Tigre di Tasmania è stata sterminata dall’avidità dei coloni e dalla cecità del cosiddetto progresso.

L'estinzione della specie

La tigre della Tasmania era già in via di estinzione all’arrivo degli europei in Tasmania nel 1803.

La causa principale della sua estinzione fu la persecuzione da parte dei coloni europei che la vedevano come una minaccia per il loro bestiame.

Inoltre, la distruzione del suo habitat naturale e la concorrenza con i cani domestici furono altri fattori che contribuirono alla sua scomparsa.

Oggi la tigre della Tasmania è diventata un simbolo dell’estinzione delle specie e un monito per la conservazione della biodiversità. La sua immagine è spesso utilizzata per promuovere la protezione degli animali e dell’ambiente.

La notte del 7 settembre 1936 muore Benjamin, ultimo esemplare di tigre della Tasmania. Il tilacino era un marsupiale carnivoro estinto vissuto in Australia, Tasmania e Nuova Guinea.

Il tilacino rappresentava l’ultima specie vivente della famiglia Thylacinidae, il marsupiale carnivoro di maggiori dimensioni che fino a circa 3500 anni fa, data dell’arrivo del dingo in Australia attraverso l’antropizzazione anche il predatore di maggiori dimensioni in Oceania.

Dopo la sua estinzione in Australia, è sopravvissuto in Tasmania fino agli anni Trenta.

Pur somigliando a un cane, specialmente per quanto concernente la conformazione del cranio, il tilacino in quanto marsupiale era solo molto lontanamente imparentato con esso. I suoi parenti più prossimi, sono considerati il già citato diavolo orsino e il Mirmecobio detto Numbat.

Già scomparso in Australia prima dell’arrivo dei coloni europei, il tilacino sopravviveva però in Tasmania: la caccia intensiva, favorita dal sistema di taglie sugli esemplari uccisi, l’alterazione dell’habitat e la competizione col dingo furono causa della sua estinzione resa ufficiale nel 1936, paradossalmente lo stesso anno in cui la specie venne dichiarata protetta dal governo australiano.

La specie si rifugiava in Tasmania fino all’arrivo dei primi coloni europei sull’isola, l’animale sembrava essere più comune nel centro-nord dell’isola.

Nonostante a causa della sua natura timida e delle abitudini notturne gli avvistamenti fossero rari, ben presto al tilacino si attribuì la fama di ladro di bestiame, e vennero introdotti taglie ogni capo ucciso:

già nel 1830 la compagnia della Terra di Van Diemen introdusse le prime ricompense, mentre fra il 1888 ed il 1909 il governo tasmaniano pose una taglia di un dollaro australiano (circa 122,02 euro attuali) per ciascuna testa di adulto e dieci scellini per cucciolo, pagandone in totale 2184, sebbene si pensi che gli animali uccisi furono ben più numerosi.

Alla caccia spietata a cui i tilacini venivano sottoposti si aggiungeva la competizione con i cani usati dall’uomo, la alterazione dell’habitat, la sparizione di molte delle prede di questo animale, anch’esse cacciate dall’uomo e da gatti, topi e cani, portatori di cimurro.

A causa di tutti questi fattori, il tilacino era diventato estremamente raro e già a partire dagli anni ’20 gli avvistamenti di questo animale erano un evento eccezionale, tanto che già dal 1901 erano sorti comitati che chiedevano maggiore protezione per questa specie; accortasi di ciò, nel 1928 la commissione per la fauna nativa della Tasmania emise un apposito decreto di protezione di questi animali, proponendo l’istituzione di un’area protetta dove ospitarli fra i fiumi Arthur e Pieman.

L’ultima uccisione di un tilacino fu nel 1930 per mano del fattore Wilf Batty: Batty sparò all’animale maschio che si aggirava   sui suoi terreni.

L’ultimo tilacino in cattività, invece, di nome Benjamin: catturato nella Florentine Valley nel 1933 da tale Elias Churchill, venne ospitato allo zoo di Hobart.

Il nome “Benjamin” venne assegnato all’animale solo nel maggio del 1968, quando il sedicente allora guardiano dello zoo Frank Darby dichiarò che lo staff era solito appellare familiarmente in tal modo l’esemplare, sebbene non esistano prove a riguardo e anzi la curatrice dello zoo all’epoca Alison Reid e il pubblicista dello stesso Michael Sharland abbiano sempre smentito tale affermazione e addirittura dichiarato di non ricordare Darby come membro dello staff dello zoo.

Benjamin morì il 7 settembre 1936, rimanendo chiuso fuori dal suo alloggio per la notte e quindi patendo la grande escursione termica fra il giorno e la notte: paradossalmente, 59 giorni prima della morte (il 10 luglio 1936) il governo tasmaniano decretò in maniera ufficiale lo status di specie in pericolo di estinzione del tilacino.

Tale ritardo è stato generalmente giustificato con difficoltà di carattere politico che provocavano il continuo slittamento del provvedimento.

Benjamin fu l’ultimo esemplare di tilacino ufficialmente osservato: sebbene si creda che la specie possa essere sopravvissuta nelle aree più remote dell’entroterra tasmaniano fino agli anni ’60, e nonostante gli avvistamenti, le osservazioni di impronte e feci ascrivibili all’animale e l’ascolto di vocalizzazioni compatibili con quelle del tilacino, tutte le ricerche volte all’osservazione di eventuali animali superstiti, nonostante il consistente dispiego di mezzi, si sono sempre risolte in insuccessi.

Nonostante ciò, la specie è stata dichiarata estinta dallo IUCN solo nel 1982 e dal governo della Tasmania nel 1986: questo perché gli standard internazionali impongono che, per poter sancire in maniera ufficiale l’estinzione di una specie, devono passare 50 anni dall’ultimo avvistamento confermato.

Solo nel 2013, inoltre, il tilacino è stato rimosso dall’appendice I della CITES.

Esistono appassionati che continuano a cercare esemplari di tilacino nelle aree più remote della Tasmania.

L’ARFRA (Australian Rare Fauna Research Association) conta ad oggi circa 3800 avvistamenti di tilacino fin dala dichiarata estinzione della specie nel 1936:

Nel 1997, alcuni missionari alle pendici del Puncak Jaya riferirono di aver osservato dei tilacini, avvistamenti confermati dagli indigeni, che affermarono di sapere da anni della presenza di questi esemplari.

Giovane tilacino conservato al National Museum of Australia: a partire da resti del genere, gli studiosi hanno affermato che sarebbe possibile clonare questo animale.

Alla fine del 2002 sono stati estratti frammenti replicabili di DNA, ma il 15 febbraio 2005 il progetto viene abbandonato, in quanto il materiale genetico recuperatovienegiudicato troppo danneggiato per la clonazione

Nel maggio 2005 il professor Micheal Archer della University of New South Wales, già direttore dell’Australian Museum e biologo evoluzionista, annunciò che il progetto sarebbe stato portato avanti da un gruppo di università interessate e da un centro di ricerca: appena un mese prima, dopo quattro anni di ricerca e catalogazione, era stato ultimato l’International Thylacine Specimen Database, un database completo di tutti i resti di tilacino conosciuti presenti in musei, università e collezioni private.

Nel 2008 i ricercatori Andrew J. Pask e Marilyn B. Renfree dell’università di Melbourne e Richard R. Behringer dell’università di Austin hanno annunciato di aver isolato dalla pelliccia di un esemplare adulto e dal corpo di alcuni piccoli,conservati in etanolo, il gene  che ha il compito di assemblare la proteina che forma ossa e cartilagini.

Il gene è stato impiantato su alcuni topi e risulta funzionante: la ricerca ha ridato speranza di ricreare un giorno una popolazione di tilacini. Intanto un altro gruppo di ricercatori ha sequenziato con successo il DNA mitocondriale del tilacino a partire da due esemplari conservati in museo.

Il loro successo apre la prospettiva del sequenziamento completo del DNA nucleare di questo animale a partire da esemplari da museo. Il loro risultato è stato pubblicato sulla rivista Genome Research nel 2009.

Nel 2013 Mike Archer e Stewart Brand,alla conferenza TED, menzionavano il tilacino come probabile candidato al processo di de-estinzione.

La deestinzione

Immaginiamo che i progressi delle nuove tecniche legate alla genetica  rendano possibile riportare in vita  specie estinte per reiserirle nei loro ecosistemi. Questa pratica viene definita de-estinzione  o revivalismo della specie.

Diverse équipe di scienziati in tutto il mondo lavorano da anni a questa possibilità: l’ultimo annuncio, in ordine di tempo, è quello di un team di Harvard, che nel corso del congresso annuale della American Association for the Advancement of Science  ha annunciato di essere vicino a realizzare un embrione ibrido che contenga tratti genetici dell’elefante asiatico e del mammuth lanoso, estintosi circa cinquemila anni fa. Già nel 2011, un’équipe di ricercatori della University of Kyoto annunciò l’intenzione di clonare un mammuth, usando il tessuto congelato dal permafrost custodito in un un laboratorio russo.

L’animale originario avrebbe dovuto essere raggiunto entro cinque anni, ma così non è stato.

possibile rimpiazzare le sequenze perdute del dna di specie estinte (non sempre infatti si ha a disposizione il loro codice genetico) con altre sequenze prelevate dai loro parenti più prossimi.

Una volta creato un codice completo, questo viene impiantato artificialmente nell’ovocita di un altro animale il pù vicino possibile all’esemplare estinto per far sviluppare un embrione che viene poi inserito nell’utero della madre surrogata.

Candidati alla deestinzione

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Un altro famoso candidato alla deestinzione è il moa, termine con cui si indicano nove specie di grandi uccelli inetti al volo che vivevano in Nuova Zelanda fino agli inizi del Cinquecento. David Iorns, a capo dell’azienda californiana Genetic Rescue Foundation. Attualmente, gli scienziati stanno sequenziando l’intero genoma dell’animale e sono fiduciosi di riuscire nell’impresa.

Per identificare le specie che dovrebbero avere la priorità  nel processo di de-estinzione, gli scienziati osservano diversi criteri: “prima di tutto l’utilità dell’animale nel proprio ecosistema”, spiega, ecologo della University of California, Santa Barbara. “Se scompare una specie che gioca un ruolo cruciale nel proprio habitat, la conseguenza potrebbe essere un effetto a cascata che porta anche altre specie all’estinzione”. I moa, ad esempio, rispondono a questo criterio: questi grandi uccelli erano  indispensabili per la riproduzione di diverse specie di piante sul loro territorio, attraverso la dispersione dei semi loro semi; la loro estinzione ha causato la riduzione e la scomparsa di molte piante.

 

 Lo stambecco dei Pirenei, dichiarato ufficialmente estinto il 6 gennaio 2000, quando l’ultimo esemplare ,  fu trovato morto.  Pochi giorni dopo, un’azienda di biotecnologie, la Advanced Cell Technology, si offrì di clonare l’animale usando un’altra specie di capra come madre surrogata. Il primo esemplare nacque il 20 giugno 2003, ma morì il giorno stesso.

Non si disponeva  e non si dispone purtroppo del dna di esemplari maschi di stambecco dei Pirenei, e  clonare sole femmine non garantirebbe la prosecuzione della specie. Un altro progetto è quello di Katshuhiko Hayashi, della Kyushu University di Fukuoka, in Giappone, che ha da poco creato otto cuccioli di topo usando uova ottenute da cellule epiteliali riprogrammate. Egli intende utilizzare la stessa tecnica con il rinoceronte bianco,di cui rimangono solo tre esemplari. I pù recenti animali estinti sono il Dodo, estintosi alle Mauritius nel 1662e il Tilacino, dichiarato ufficialmente estinto, con la morte di Benjamin, nel 1936.

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